Salutò aggrappato ad un abbraccio
E le mani, veloci, sulla valigia
Un cartone, ignaro e sorpreso
A chiudere il pane fra i libri
Amico curioso a strisce
Come la camicia svogliata
E gli umori tremendi
Colorati per ogni notte in bianco
L’eremita
È un vuoto scalzo che misura il tempo
L’eremita
Cammina la sua vita da solo
Quando decise di partire
E disse «addio» con volto non vero
E lui cammina piangendo storto
E nulla che rifletta il male
Se non, acque immobili
A specchiare l’urlo del silenzio
Oppure un occhio obliquo
Che guarda e ti sorride male
L’eremita
Un aquilone che volteggia nell’aria
L’eremita
Un urlo che scolpisce l’anima
L’eremita coltiva la sua terra
E mischia il ricordo col fango
E l’uomo guarda il suo vestito
Da tempo irriverente
Rumore raro, di natura dormiente
Che mi strappa la voglia di tornare
Dove una folla di eremiti
Organizza abbracci a vanvera
L’eremita
Che conosco, è una memoria di schiena
Che mi invita a pensare
Che non voglio tornare